Ogni anno circa 600 milioni di persone si ammalano dopo aver mangiato cibo contaminato da batteri, virus, parassiti e sostanze chimiche (dati: OMS). In Italia si registra quasi un allarme alimentare al giorno per un totale di ben 297 notifiche inviate all’Unione Europea durante il 2020 (dati: Coldiretti).
E’ un’emergenza che non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo ma che, per effetto della globalizzazione degli scambi e della competizione al ribasso sui prezzi, si estende anche a quelli occidentali.
I pericoli maggiori per l’Italia arrivano dal pesce spagnolo con alto contenuto di mercurio e dal pesce francese per l’infestazione del parassita Anisakis, ma sul podio del rischio ci sono i materiali a contatto con gli alimenti (MOCA), per i quali si riscontra la cessione di sostanze molto pericolose per la salute del consumatore (cromo, nichel, manganese, formaldeide ecc.), in particolare per quelli importati dalla Cina.
Nella “black list alimentare” ci sono poi i pistacchi dalla Turchia contaminate dalle aflatossine, le arachidi dall’Egitto per l’elevato contenuto di aflatossine cancerogene, presenti anche nei pistacchi dagli Stati Uniti.
In Italia sul totale dei 297 allarmi verificatisi nel 2020, solo 51 (17%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale, 146 provenivano da altri Stati dell’Unione Europea (49%) e 100 da Paesi extracomunitari (34%).
In altre parole oltre otto prodotti su dieci pericolosi per la sicurezza alimentare provengono dall’estero (83%).
Le maggiori preoccupazioni sono dunque determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti a rischio per toglierli dal commercio generando un calo di fiducia che provoca il taglio generalizzato dei consumi e che spesso ha messo in difficoltà ingiustamente interi comparti economici, con la perdita di posti di lavoro. Alla luce di quanto espresso, diventa sempre più necessario avanzare nel percorso per la trasparenza sull’obbligo di indicare la provenienza degli alimenti in etichetta.