Ancel Keys: l’ideatore della DIETA MEDITERRANEA

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04 Set 2017

di Laura Gennaro e Andrea Ghiselli (CREA – Alimenti e Nutrizione)

Dieta mediterranea è sinonimo in tutto il mondo di alimentazione sana, capace di mantenere l’organismo in salute, prevenire la gran parte delle patologie del nostro tempo e regalare una lunga aspettativa di vita.

La letteratura scientifica è ormai ridondante di evidenze che ne esaltano le capacità preventive nei confronti di patologie croniche come ipertensione, diabete, aterosclerosi, cancro, così come per la prevenzione di sovrappeso e obesità.

Emblematico lo studio PREDIMED (Prevención con Dieta Mediterránea), studio longitudinale multicentrico, precocemente interrotto (dopo nemmeno cinque anni) per la strabiliante superiorità dimostrata dalla dieta mediterranea rispetto ad uno stile alimentare di controllo.

Ma, proprio perché la dieta mediterranea è così importante nella prevenzione e nella longevità, è altrettanto importante capire di cosa si parli quando ne parliamo. Il concetto di “dieta mediterranea” nasce da un’intuizione di Ancel Keys negli anni ’60. Keys individuò nelle diverse abitudini alimentari di diversi Paesi la responsabilità delle profonde differenze nella mortalità cardiovascolare. Fu lui il promotore del “Seven Countries Study”, dai cui risultati emerse che i Paesi dell’area mediterranea, che avevano una dieta a minore contenuto di grassi saturi e maggiore contenuto di vegetali, avevano una mortalità cardiovascolare nettamente inferiore a quella dei Paesi nord-europei e degli USA.

Ancel Keys
Foto di ANCEL KEYS – fisiologo americano ideatore del concetto di Dieta Mediterranea

In quegli anni, il consumo di proteine e grassi animali in area mediterranea era estremamente basso, tanto che Ancel Keys scrisse:

Carne, pesce, uova e latte erano sicuramente lussi per tutti gli uomini. La grande massa della dieta è costituita da pane, pasta (macaroni, spaghetti ecc.) e verdure locali. Zucchero e patate erano consumati solo in quantità molto piccole e non si usava burro. Frutta e piccolissime quantità di formaggio erano consumati abbastanza regolarmente”.

Era una dieta estremamente povera, che arrivava a malapena a coprire l’elevato fabbisogno energetico di una popolazione agricola. Oltre l’85% del fabbisogno di energia era coperto da fonti vegetali e tra questi il contributo dei grassi era bassissimo.

Lo studio mise in evidenza tuttavia che anche il Giappone era tra i Paesi a bassissima mortalità cardiovascolare; anzi, era tra i più bassi. Anche in questo Paese il consumo di grassi saturi era basso, mentre era alto quello di prodotti vegetali, che arrivavano a coprire addirittura il 90% del fabbisogno energetico.

Bassissimo l’apporto di grassi totali e di grassi saturi. Evidentemente, però, noi mediterranei siamo stati più bravi ad “approfittare” del momento ed attribuire una territorialità, un bacino geografico, che in realtà i risultati del Seven Countries Study non avrebbero dovuto avere:  la dieta giapponese è rimasta solo fenomeno folkloristico, mentre la dieta mediterranea ha guadagnato maggior fortuna, spinta anche dal suo “ideatore” che si è stabilito in un paesino del Cilento, mangiando italiano e testimoniando con la sua vita centenaria la validità del modello.

La fama salutistica della dieta mediterranea è arrivata a guadagnarsi lo status di patrimonio culturale immateriale dell’umanità presso l’UNESCO.

E’ un interessante spunto di riflessione il fatto che non solo la dieta giapponese (asiatica in generale) sia associata ad una minore incidenza di patologie croniche come aterosclerosi, diabete e cancro, ma lo sia anche qualsiasi altra dieta (per esempio la dieta dei Paesi nordici) che sia basata su frutta, verdura, cereali (meglio se integrali e legumi) e che faccia ricorso a piccolissime quantità di prodotti animali.

Dobbiamo quindi togliere al concetto di “dieta mediterranea” la restrizione territoriale che le abbiamo dato e imparare a considerarlo un modello alimentare piuttosto che un menu fatto di prodotti che crescono nel mediterraneo.

Dobbiamo raccogliere il messaggio che Ancel Keys ha lasciato, cercando di capire che il modo di alimentarsi dei popoli mediterranei di quei tempi era l’interpretazione – con prodotti locali – dell’alimentazione adatta all’uomo, capace cioè di mantenere la salute e promuovere un invecchiamento sano.

Non andiamo a ricercare negli alimenti, come è invece pessimo costume fare, i più disparati componenti protettivi, perché siamo fuori strada. Ogni volta che i componenti dei vegetali sono stati isolate e somministrati, non solo non sono stati ottenuti i benefici ingenuamente sperati, ma addirittura in molti casi abbiamo assistito ad un aumentato del rischio di mortalità.

Il potere protettivo degli alimenti vegetali, infatti, risiede in tutt’altro: la maggior parte di frutta e ortaggi sono ricchi di acqua e di fibra, quindi sono alimenti che saziano con poche calorie, molto poveri di grassi (soprattutto saturi) e sale se non quello che si aggiunge come condimento.

Ugualmente alimenti poveri di grasso e sale sono i cereali. Contrariamente a frutta e verdura, contengono minori quantitativi di acqua e un numero nettamente superiori di calorie, ma si tratta di energia “pulita, mai eccessiva grazie alla contemporanea presenza di alimenti sazianti come vegetali e frutta. Lo stesso per i legumi, dall’elevato potere saziante.

La situazione attuale dei consumi degli italiani, invece, non è incoraggiante, poiché non solo siamo lontanissimi dalla ripartizione energetica tipica della dieta mediterranea, ma siamo pericolosamente vicini ai consumi minimi per i carboidrati. Anzi, gli adulti maschi sono già al di sotto sotto dei riferimenti inferiori di questi nutrienti (44,3%), mentre sono al di sopra dei livelli superiori per i grassi (più del 36%).

Molti sono gli errori che commettiamo a tavola, a partire dallo scarso consumo di cereali integrali, ortaggi e frutta, ma alcuni interventi correttivi sarebbero abbastanza facili, almeno in teoria. Consumiamo infatti una quantità  eccessiva  di  carne, soprattutto conservata, mentre sono quasi sconosciuti i legumi: se si riuscissero a sostituire 2 porzioni settimanali di carne conservata con altrettante di legumi saremmo in linea con le raccomandazioni e si aumenterebbero, se pure di poco, l’apporto di carboidrati e fibra, mentre diminuirebbe nettamente il carico di grassi totali, di saturi e di colesterolo. Consumiamo inoltre latte o yogurt.

Molti sono i motivi per i quali i nostri consumi non sono più in linea con le raccomandazioni: la sedentarietà è certamente il primo, insieme alla grande disponibilità di cibo, alla gola come unica gratificazione della giornata, e tanti altri.

Per questo dobbiamo sfruttare il riconoscimento all’Unesco della dieta mediterranea come “patrimonio culturale immateriale universale”, che deve farci uscire dal “Mare Nostrum” per dirigere la prua verso il suo vero messaggio, e considerarla un modello e non un menu, uno stile di vita e non di un Paese, una tradizione che il caso, la necessità e la sapienza hanno impastato nel corso dei secoli con quello che avevano a disposizione.

In conclusione, cerchiamo di immaginare la dieta mediterranea come l’interpretazione mediterranea di un’alimentazione generale corretta, sana e adeguata alle esigenze dell’organismo umano.

Quindi una paella spagnola, un risotto milanese, un pilafi greco, o un piatto di dolmades non sono più “mediterranei” di un riso cantonese o di un sushi e che una dieta sana può essere mediterranea ovunque purché vi siano i due requisiti che da sempre l’hanno caratterizzata: adeguatezza energetica e netta prevalenza vegetale.

Soltanto  così  la  dieta  mediterranea  sarà, insieme  a  genetica  e  fortuna,  il  miglior  modo  che  abbiamo  per campare a lungo e in salute.

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