Ricco di proteine, zuccheri, grassi, oligoelementi e vitamine, il latte è un alimento prezioso per l’organismo umano, soprattutto dei bambini.
Ma quale scegliere: il crudo, lo scremato, il concentrato, l’intero, il pastorizzato, quello in polvere o di Alta Qualità?
Proviamo a fare chiarezza.
Le definizioni che troviamo nell’etichetta delle confezioni del latte delineano sia la lavorazione subìta dal prodotto, sia la percentuale di grasso in esso contenuto.
Si parla di latte crudo quando il prodotto non ha subìto trattamenti termici a temperatura superiore ai 40° né altri con effetti equivalenti. Tale prodotto è acquistabile nei distributori automatici o direttamente dal produttore, ma per essere consumato deve esser bollito per alcuni secondi alla temperatura di 80°.
Il latte venduto al dettaglio deve necessariamente subire un trattamento termico, denominato pastorizzazione, che permette la conservabilità del prodotto.
Non serve, quindi, una volta acquistato il prodotto confezionato, sottoporlo di nuovo a bollitura: il latte è già sufficientemente sicuro e soprattutto l’ulteriore processo ne ridurrebbe drasticamente il contenuto vitaminico.
E se pensate che far bollire il latte lo renda più digeribile, sappiate che l’effetto ottenuto è esattamente l’opposto: la bollitura fa raggrumare le sostanze grasse contenute nel latte e la caseina diviene meno assimilabile.
Attenzione alla dicitura in etichetta “latte fresco”: non deve confondere il consumatore.
Si tratta comunque di latte pastorizzato: la parola “fresco” sta ad indicare che il trattamento di pastorizzazione è avvenuto entro 48 ore dalla mungitura.
Attengono alla sfera della lavorazione anche le definizioni di concentrato e in polvere.
La prima fa riferimento al prodotto ottenuto per evaporazione dell’acqua, mentre la seconda al latte generato per disidratazione.
Per quanto riguarda la composizione:
• latte intero quando la percentuale di grasso in esso contenuto è pari al 3,5%;
• parzialmente scremato il latte contenente tra l’1 e l’1,8% di grasso;
• scremato si definisce il latte che contiene meno dello 0,5% di grasso.
Il latte fresco pastorizzato Alta Qualità si differenzia dagli altri sia per il trattamento termico che subisce, più delicato rispetto a quello classico, sia per i requisiti di composizione del latte di partenza, in termini di materia grassa, proteine, germi, cellule somatiche e acido lattico, che devono rispettare parametri più stringenti.
Denominazione a parte è quella di latte industriale, che è associata al prodotto destinato alla produzione di burro e formaggio.
Avete già scelto il vostro latte? No?
Bene, perché ci sono altre informazioni sull’etichetta che possono risultare utili per l’acquisto del giusto prodotto.
A cominciare dalla data di scadenza:
• se la confezione riporta la dicitura “da consumare entro il”, all’interno c’è latte fresco pastorizzato;
• se la dicitura riporta “consumare preferibilmente entro il”, il prodotto è un latte a lunga conservazione.
L’etichetta riporta anche l’elenco degli ingredienti, con relative quantità, compresi quelli che possono provocare allergie o intolleranze; le condizioni di conservazione e impiego e la dichiarazione nutrizionale.
Dalla fine del 2016, inoltre, nell’etichetta figurerà il paese o la zona di mungitura e il Paese di condizionamento e trasformazione.
Ora che avete scelto il latte, prendetevene cura.
Il latte è un prodotto delicato che teme molto gli sbalzi di temperatura: utilizzate una borsa termica dopo l’acquisto nel tragitto verso casa e poi conservatelo in frigorifero ad una temperatura non superiore ai 4° C.
Per il consumo del latte, infine, attenzione agli abbinamenti.
Stemperare nel latte un “goccio di caffè” può essere piacevole ma non fa bene: la teobromina contenuta nel caffè non consente la scissione delle proteine del latte, rendendole poco “utilizzabili” da parte dell’organismo.
Ed evitate anche di dolcificare il latte con lo zucchero, che limita l’assorbimento del calcio, preferendo il malto d’orzo, che invece rende più facile il fissaggio nelle ossa di questo prezioso minerale.
In presenza di una intolleranza accertata al lattosio, piuttosto che un latte delattosato, è preferibile consumare prodotti alternativi, come il latte di soia o di riso.
Ma ricordate che impropriamente si utilizza la parola “latte” quando associato a soia o riso: si tratta infatti di bevande industriali a base vegetale.
Il latte è il prodotto della ghiandola mammaria di femmine di mammiferi e deriva dalla mungitura regolare ed ininterrotta di animali in buono stato di salute e di alimentazione e in corretta lattazione.
Quello che giunge sulle nostre tavole è prodotto, prevalentemente, da vacche, pecore, capre e bufale.
Quando sulle confezioni del prodotto troviamo la sola scritta “latte” significa che quest’ultimo è di origine bovina; una derivazione diversa deve essere resa evidente con il nome della specie da cui proviene (latte di pecora; latte di bufala; latte di capra, ect).
Quando il latte è ottenuto da allevamenti biologici, che seguono la specifica normativa comunitaria e nazionale prende la connotazione di latte biologico.
La produzione di latte comincia dopo il parto dell’animale e, nella bovina, si protrae per un periodo di circa dieci mesi.
Se non consumato crudo, cioè senza alcun tipo di condizionamento al calore, il latte viene avviato alla trasformazione.
Appena giunto nei caseifici, il latte viene analizzato chimicamente per verificarne la rispondenza agli standard qualitativi previsti dalla legge.
Una parte del latte viene adoperata a crudo per essere trasformata in sottoprodotti, dal burro al formaggio; l’altra, invece, viene scremata e pastorizzata per il consumo diretto.
La parte di prodotto non destinata alla pastorizzazione può subire diverse trasformazioni, a seconda del sottoprodotto che si intende realizzare: la fermentazione del latte è finalizzata alla produzione dello yogurt, mentre la caseificazione è finalizzata alla produzione di formaggi, mediante l’utilizzo di caglio per far precipitare le caseine disciolte nel liquido.
La scrematura è quel processo che rimuove parte dei grassi presenti nel liquido, riutilizzati per realizzare il burro e la panna.
A seconda della percentuale di grassi rimossa, si otterrà il latte scremato o parzialmente scremato.
La pastorizzazione è il processo di riscaldamento che distrugge la flora batterica patogena, allungando così la vita del prodotto, senza modificare la digeribilità e la completezza dell’alimento.
Esistono vari metodi di pastorizzazione, a seconda del tempo di conservazione che si vuole garantire al prodotto:
• per il latte fresco a breve conservazione, ovvero con una vita di 6 giorni oltre quello del trattamento, il processo di pastorizzazione utilizzato in Italia è l’HTST (High Temperature Short Time) che prevede di portare il prodotto ad una temperatura alta, tra i 71 ed i 75 gradi, per un periodo breve di 15 secondi;
• per il latte a lunga conservazione si utilizza il metodo UHT (Ultra High Temperature), chiamato anche uperizzazione, che sottopone il prodotto ad una temperatura pari o superiore a 135° per almeno 1 secondo, garantendone una durata fuori dal frigorifero di 90 giorni.
Il metodo UHT ha sostituito la così detta sterilizzazione indiretta che garantiva una conservabilità del latte di 6 mesi ma determinando la distruzione di molti nutrienti caratteristici del latte.
Dopo esser stato pastorizzato, il latte viene raffreddato velocemente ad una temperatura di circa 3°, stoccato nei serbatori e quindi confezionato per la vendita.
Una menzione particolare merita il latte fresco pastorizzato Alta Qualità che si distingue dagli altri per il processo produttivo che coinvolge tutta la filiera, dalla stalla al punto di vendita.
Chi produce tale tipologia di latte deve possedere un locale separato e distante dalla stalla per la filtrazione, refrigerazione e conservazione del latte e per il deposito dei recipienti e dei bidoni.
Inoltre deve possedere un locale adibito alla conservazione dei detergenti e dei disinfettanti e deve tenere un registro di carico e scarico, dal quale risulti il quantitativo giornaliero di latte prodotto e l’impresa destinataria.
Il latte è, in parte, impiegato anche nella cosmesi, sia in auto produzione che a livello industriale, per le capacità nutritive dei grassi e degli zuccheri che lo compongono.
Il nostro Paese importa poco più di un milione di tonnellate di latte sfuso da altri paesi Europei. In particolare dalla Germania (il 40%), Francia (23%) e Slovenia (13%).
Il latte è prodotto durante tutto l’anno ed è quindi sempre disponibile per l’acquisto.
Forte del contenuto in proteine nobili (lattalbumina, caseina), calcio e sali minerali, vitamine (in particolare A, B2, B12, D) e aminoacidi, il latte è uno degli alimenti più completi e nutrienti per l’essere umano.
Un litro di latte intero generalmente contiene:
• 35 grammi di proteine,
• 37 grammi di grassi,
• 45 grammi di zuccheri e
• 10 grammi di sali minerali.
Il processo di scrematura abbassa il quantitativo di grassi presente nel prodotto, consentendo un risparmio di circa 20 calorie ogni 100 grammi di prodotto.
La notevole quantità di calcio e fosforo presenti in questo alimento lo rende essenziale soprattutto nella prima infanzia, quando l’organismo ha bisogno di questo minerale per costruire le ossa e i denti. Il lattosio, lo zucchero del latte, è inoltre particolarmente importante per lo sviluppo del tessuto nervoso nei primi mesi di vita.
Il latte è consumato anche dagli adulti, quale valido alleato nella lotta all’osteoporosi, e amato dagli atleti, che ne apprezzano le proprietà dissetanti, oltre che benefiche. Il consumo di latte favorisce, inoltre, la coagulazione del sangue e fornisce l’energia necessaria per svolgere attività fisiche.
Attenzione, però, alle intolleranze al lattosio: in tal caso, il latte è un alimento dannoso per l’organismo che, privo dell’enzima lattasi, non è in grado di digerirlo.
Sebbene solo specifici test prescritti dal medico possono accertare un’intolleranza al lattosio, alcuni sintomi specifici costituiscono campanelli di allarme, tra cui ventre gonfio e teso, difficoltà di digestione, stanchezza cronica e coliti.
E attenzione a quegli alimenti che, seppure insospettabilmente, contengono costituenti del latte, tra cui alcuni insaccati e salumi (prosciutto crudo, mortadella, salsiccia e wurstel) e i cibi per l’infanzia (pastine, omogeneizzati, liofilizzati, farine lattee, biscotti).
La lettura della etichetta alimentare costituisce lo strumento principe a disposizione del consumatore per scegliere consapevolmente cosa mangiare.
La produzione e trasformazione del latte è fin dall’antichità patrimonio dell’uomo.
Secondo la mitologia greca, le Ninfe insegnarono ad Aristeo, figlio di Apollo, l’arte della pastorizia e di cagliare il latte.
Nell’Odissea, Omero descrive il ciclope Polifemo intento nella preparazione del formaggio.
Nel Wisconsin, lo stato americano del formaggio, la salamoia utilizzata per la produzione di alcuni dei formaggi italiani più tipici viene cosparsa sulle strade ghiacciate in sostituzione del sale che, rispetto a quest’ultimo, resiste fino a 20 gradi sotto lo zero.
• D.M. del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 27/11/2009 e 8/2/2010
• D.M. del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali:
Decreto n. 990 del 28/03/2017 e Decreto n. 1076 del 31/3/2017
Ricco di proteine, zuccheri, grassi, oligoelementi e vitamine, il latte è un alimento prezioso per l’organismo umano, soprattutto dei bambini.
Ma quale scegliere: il crudo, lo scremato, il concentrato, l’intero, il pastorizzato, quello in polvere o di Alta Qualità?
Proviamo a fare chiarezza.
Le definizioni che troviamo nell’etichetta delle confezioni del latte delineano sia la lavorazione subìta dal prodotto, sia la percentuale di grasso in esso contenuto.
Si parla di latte crudo quando il prodotto non ha subìto trattamenti termici a temperatura superiore ai 40° né altri con effetti equivalenti. Tale prodotto è acquistabile nei distributori automatici o direttamente dal produttore, ma per essere consumato deve esser bollito per alcuni secondi alla temperatura di 80°.
Il latte venduto al dettaglio deve necessariamente subire un trattamento termico, denominato pastorizzazione, che permette la conservabilità del prodotto.
Non serve, quindi, una volta acquistato il prodotto confezionato, sottoporlo di nuovo a bollitura: il latte è già sufficientemente sicuro e soprattutto l’ulteriore processo ne ridurrebbe drasticamente il contenuto vitaminico.
E se pensate che far bollire il latte lo renda più digeribile, sappiate che l’effetto ottenuto è esattamente l’opposto: la bollitura fa raggrumare le sostanze grasse contenute nel latte e la caseina diviene meno assimilabile.
Attenzione alla dicitura in etichetta “latte fresco”: non deve confondere il consumatore.
Si tratta comunque di latte pastorizzato: la parola “fresco” sta ad indicare che il trattamento di pastorizzazione è avvenuto entro 48 ore dalla mungitura.
Attengono alla sfera della lavorazione anche le definizioni di concentrato e in polvere.
La prima fa riferimento al prodotto ottenuto per evaporazione dell’acqua, mentre la seconda al latte generato per disidratazione.
Per quanto riguarda la composizione:
• latte intero quando la percentuale di grasso in esso contenuto è pari al 3,5%;
• parzialmente scremato il latte contenente tra l’1 e l’1,8% di grasso;
• scremato si definisce il latte che contiene meno dello 0,5% di grasso.
Il latte fresco pastorizzato Alta Qualità si differenzia dagli altri sia per il trattamento termico che subisce, più delicato rispetto a quello classico, sia per i requisiti di composizione del latte di partenza, in termini di materia grassa, proteine, germi, cellule somatiche e acido lattico, che devono rispettare parametri più stringenti.
Denominazione a parte è quella di latte industriale, che è associata al prodotto destinato alla produzione di burro e formaggio.
Avete già scelto il vostro latte? No?
Bene, perché ci sono altre informazioni sull’etichetta che possono risultare utili per l’acquisto del giusto prodotto.
A cominciare dalla data di scadenza:
• se la confezione riporta la dicitura “da consumare entro il”, all’interno c’è latte fresco pastorizzato;
• se la dicitura riporta “consumare preferibilmente entro il”, il prodotto è un latte a lunga conservazione.
L’etichetta riporta anche l’elenco degli ingredienti, con relative quantità, compresi quelli che possono provocare allergie o intolleranze; le condizioni di conservazione e impiego e la dichiarazione nutrizionale.
Dalla fine del 2016, inoltre, nell’etichetta figurerà il paese o la zona di mungitura e il Paese di condizionamento e trasformazione.
Ora che avete scelto il latte, prendetevene cura.
Il latte è un prodotto delicato che teme molto gli sbalzi di temperatura: utilizzate una borsa termica dopo l’acquisto nel tragitto verso casa e poi conservatelo in frigorifero ad una temperatura non superiore ai 4° C.
Per il consumo del latte, infine, attenzione agli abbinamenti.
Stemperare nel latte un “goccio di caffè” può essere piacevole ma non fa bene: la teobromina contenuta nel caffè non consente la scissione delle proteine del latte, rendendole poco “utilizzabili” da parte dell’organismo.
Ed evitate anche di dolcificare il latte con lo zucchero, che limita l’assorbimento del calcio, preferendo il malto d’orzo, che invece rende più facile il fissaggio nelle ossa di questo prezioso minerale.
In presenza di una intolleranza accertata al lattosio, piuttosto che un latte delattosato, è preferibile consumare prodotti alternativi, come il latte di soia o di riso.
Ma ricordate che impropriamente si utilizza la parola “latte” quando associato a soia o riso: si tratta infatti di bevande industriali a base vegetale.
Il latte è il prodotto della ghiandola mammaria di femmine di mammiferi e deriva dalla mungitura regolare ed ininterrotta di animali in buono stato di salute e di alimentazione e in corretta lattazione.
Quello che giunge sulle nostre tavole è prodotto, prevalentemente, da vacche, pecore, capre e bufale.
Quando sulle confezioni del prodotto troviamo la sola scritta “latte” significa che quest’ultimo è di origine bovina; una derivazione diversa deve essere resa evidente con il nome della specie da cui proviene (latte di pecora; latte di bufala; latte di capra, ect).
Quando il latte è ottenuto da allevamenti biologici, che seguono la specifica normativa comunitaria e nazionale prende la connotazione di latte biologico.
La produzione di latte comincia dopo il parto dell’animale e, nella bovina, si protrae per un periodo di circa dieci mesi.
Se non consumato crudo, cioè senza alcun tipo di condizionamento al calore, il latte viene avviato alla trasformazione.
Appena giunto nei caseifici, il latte viene analizzato chimicamente per verificarne la rispondenza agli standard qualitativi previsti dalla legge.
Una parte del latte viene adoperata a crudo per essere trasformata in sottoprodotti, dal burro al formaggio; l’altra, invece, viene scremata e pastorizzata per il consumo diretto.
La parte di prodotto non destinata alla pastorizzazione può subire diverse trasformazioni, a seconda del sottoprodotto che si intende realizzare: la fermentazione del latte è finalizzata alla produzione dello yogurt, mentre la caseificazione è finalizzata alla produzione di formaggi, mediante l’utilizzo di caglio per far precipitare le caseine disciolte nel liquido.
La scrematura è quel processo che rimuove parte dei grassi presenti nel liquido, riutilizzati per realizzare il burro e la panna.
A seconda della percentuale di grassi rimossa, si otterrà il latte scremato o parzialmente scremato.
La pastorizzazione è il processo di riscaldamento che distrugge la flora batterica patogena, allungando così la vita del prodotto, senza modificare la digeribilità e la completezza dell’alimento.
Esistono vari metodi di pastorizzazione, a seconda del tempo di conservazione che si vuole garantire al prodotto:
• per il latte fresco a breve conservazione, ovvero con una vita di 6 giorni oltre quello del trattamento, il processo di pastorizzazione utilizzato in Italia è l’HTST (High Temperature Short Time) che prevede di portare il prodotto ad una temperatura alta, tra i 71 ed i 75 gradi, per un periodo breve di 15 secondi;
• per il latte a lunga conservazione si utilizza il metodo UHT (Ultra High Temperature), chiamato anche uperizzazione, che sottopone il prodotto ad una temperatura pari o superiore a 135° per almeno 1 secondo, garantendone una durata fuori dal frigorifero di 90 giorni.
Il metodo UHT ha sostituito la così detta sterilizzazione indiretta che garantiva una conservabilità del latte di 6 mesi ma determinando la distruzione di molti nutrienti caratteristici del latte.
Dopo esser stato pastorizzato, il latte viene raffreddato velocemente ad una temperatura di circa 3°, stoccato nei serbatori e quindi confezionato per la vendita.
Una menzione particolare merita il latte fresco pastorizzato Alta Qualità che si distingue dagli altri per il processo produttivo che coinvolge tutta la filiera, dalla stalla al punto di vendita.
Chi produce tale tipologia di latte deve possedere un locale separato e distante dalla stalla per la filtrazione, refrigerazione e conservazione del latte e per il deposito dei recipienti e dei bidoni.
Inoltre deve possedere un locale adibito alla conservazione dei detergenti e dei disinfettanti e deve tenere un registro di carico e scarico, dal quale risulti il quantitativo giornaliero di latte prodotto e l’impresa destinataria.
Il latte è, in parte, impiegato anche nella cosmesi, sia in auto produzione che a livello industriale, per le capacità nutritive dei grassi e degli zuccheri che lo compongono.
Il nostro Paese importa poco più di un milione di tonnellate di latte sfuso da altri paesi Europei. In particolare dalla Germania (il 40%), Francia (23%) e Slovenia (13%).
Il latte è prodotto durante tutto l’anno ed è quindi sempre disponibile per l’acquisto.
Forte del contenuto in proteine nobili (lattalbumina, caseina), calcio e sali minerali, vitamine (in particolare A, B2, B12, D) e aminoacidi, il latte è uno degli alimenti più completi e nutrienti per l’essere umano.
Un litro di latte intero generalmente contiene:
• 35 grammi di proteine,
• 37 grammi di grassi,
• 45 grammi di zuccheri e
• 10 grammi di sali minerali.
Il processo di scrematura abbassa il quantitativo di grassi presente nel prodotto, consentendo un risparmio di circa 20 calorie ogni 100 grammi di prodotto.
La notevole quantità di calcio e fosforo presenti in questo alimento lo rende essenziale soprattutto nella prima infanzia, quando l’organismo ha bisogno di questo minerale per costruire le ossa e i denti. Il lattosio, lo zucchero del latte, è inoltre particolarmente importante per lo sviluppo del tessuto nervoso nei primi mesi di vita.
Il latte è consumato anche dagli adulti, quale valido alleato nella lotta all’osteoporosi, e amato dagli atleti, che ne apprezzano le proprietà dissetanti, oltre che benefiche. Il consumo di latte favorisce, inoltre, la coagulazione del sangue e fornisce l’energia necessaria per svolgere attività fisiche.
Attenzione, però, alle intolleranze al lattosio: in tal caso, il latte è un alimento dannoso per l’organismo che, privo dell’enzima lattasi, non è in grado di digerirlo.
Sebbene solo specifici test prescritti dal medico possono accertare un’intolleranza al lattosio, alcuni sintomi specifici costituiscono campanelli di allarme, tra cui ventre gonfio e teso, difficoltà di digestione, stanchezza cronica e coliti.
E attenzione a quegli alimenti che, seppure insospettabilmente, contengono costituenti del latte, tra cui alcuni insaccati e salumi (prosciutto crudo, mortadella, salsiccia e wurstel) e i cibi per l’infanzia (pastine, omogeneizzati, liofilizzati, farine lattee, biscotti).
La lettura della etichetta alimentare costituisce lo strumento principe a disposizione del consumatore per scegliere consapevolmente cosa mangiare.
La produzione e trasformazione del latte è fin dall’antichità patrimonio dell’uomo.
Secondo la mitologia greca, le Ninfe insegnarono ad Aristeo, figlio di Apollo, l’arte della pastorizia e di cagliare il latte.
Nell’Odissea, Omero descrive il ciclope Polifemo intento nella preparazione del formaggio.
Nel Wisconsin, lo stato americano del formaggio, la salamoia utilizzata per la produzione di alcuni dei formaggi italiani più tipici viene cosparsa sulle strade ghiacciate in sostituzione del sale che, rispetto a quest’ultimo, resiste fino a 20 gradi sotto lo zero.
• D.M. del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 27/11/2009 e 8/2/2010
• D.M. del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali:
Decreto n. 990 del 28/03/2017 e Decreto n. 1076 del 31/3/2017